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Le Rane Malincommedia

Le Rane Malincommedia

Lunedì 6 luglio ore 21,45 presso il Teatro Romano di Volterra si svolge “Le Rane Malincommedia dull’orlo del mondo da Aristofane“, all’interno del Festival Internazionale del Teatro Romano.

Aristofane guarda con nostalgia al passato perché sia evidente il vuoto presente. Ma noi nel vuoto ci stiamo da un po’, non stiamo assistendo alla fine di un mondo virtuoso, siamo già oltre la degenerazione e lo sgretolamento della nostra società. Il finto cambiamento si è svelato in tutta la sua volgarità lasciando solo smarrimento, vuoto, macerie. La cultura non si mangia, l’arte non produce, la gente vuole ridere….
Così siamo pieni di cimiteri senza lapidi ove regna silenzio e oblio. Sulla nostra scena uno di questi cimiteri, con obsoleti pezzi di scenografia, attrezzeria teatrale in disuso, personaggi-relitto, burattini rotti. Due servizievoli “becchini” coprono con rituale cura il gruppo di oggetti e uomini e, di tanto in tanto, aggiungono qualcosa o qualcuno. Inaspettati giungono sulla scena Dioniso e il suo servo Xantia, ovvero un sognatore ottuso e goffo guidato dal più furbo e lucido dei Sancho Panza, pronto a far “ricreare” il suo padrone, forse per affetto, forse per rigetto di quella cruda e desolante realtà che, altrimenti, lo circonderebbe. Entrambi mettono in moto l’arrugginito teatro, ridestano gli eterni personaggi che così ripopolano la scena. La scusa è ritrovare un autore degno di essere recitato, ma invece è tutto lì, in quell’Armata Brancaleone che si inventa le avventure, il senso di tale ricerca. Basta uno che sogni e altri che lo assecondino affinché si possa udire il canto delle Rane. Allora tutto può accadere: si aprono porte ovunque sia necessario attraversarle, o si desideri far comparire sulla scena il nuovo e l’insolito, o ci sia qualcuno da ricacciare dentro. Tutto si muove col tempo perfetto del teatro, dentro cui c’è spazio per la commedia e per la riflessione, per il caos dell’inferno e per la quiete di un cortile dove un cantore può lamentarsi dei tempi bui in cui si vive e, auspicando una rinascita, può evocare l’inizio di una nuova era che trasformi il cortile in universo. È tempo di ricostruire, tempo di rimettere in forma le idee, tempo di desiderare e perciò di sognare.
Basta uno che sogni per udire il canto delle Rane. E già, le Rane, chi sono? Le creature che stanno tra la vita e la morte, tra il sogno e l’incubo, tra la realtà e la finzione, tra il chiaro e l’oscuro, sullo Stige in attesa del trapasso, in attesa di poter cantare per essere zittite o ascoltate da chi, in bilico, sta inseguendo una chimera… Le Rane sono la poesia, che non si vede, ma è ovunque la si voglia evocare; sono la natura altra del mondo.
Alla fine non conta più trovare l’autore di frasi “poderose”, ma riconoscersi tra Rane e insieme intonare il bel canto che accompagni l’impresa della risalita o almeno che illuda i sognatori d’essere più vicini al sublime.
Le Rane di Aristofane sono una parodia della decadenza politica e culturale dell’Atene dell’epoca del 405 a.C., ma soprattutto una riflessione sul teatro e sulla vita morale e sociale, all’indomani della morte di Euripide e Sofocle, ultime guide intellettuali della polis. Protagonista è Dioniso, il dio del teatro, ma che qui non è più il seducente straniero delle Baccanti, bensì un patetico personaggio in cerca d’autore, un attore senza ruolo al quale avanzano battute tragiche che, fuori contesto, risultano penose e grottesche.
Il ridicolo Dioniso, con un imbarazzante travestimento da Ercole, intraprende il viaggio per l’oltretomba in cerca dell’autore che possa ridargli dignità, e con lui anche al teatro e quindi alla società, a cui solo il teatro può e deve insegnare la virtù. Con lui il servo fidato Xantia, pronto e astuto. Inizia così la Catabasi verso gl’inferi, dove non possono mancare gli incontri con Caronte, Plutone e molti altri personaggi, i quali sono la copia conforme di una umanità bassa e volgare che abita il mondo terreno. Parentesi poetica è il coro di rane della palude infernale che sbeffeggia Dioniso, ma non rinuncia a cantare cignescamente intraducibili versi poetici, unico conforto dell’anima. Il viaggio si conclude con il tanto atteso incontro con Euripide ed Eschilo, intenti a litigare per stabilire chi dei due sia il più grande poeta tragico. Euripide accusa Eschilo di ridondanza e di poca chiarezza, ed Eschilo rimprovera Euripide di aver corrotto gli ateniesi con i suoi esempi immorali insegnando loro a tradire, uccidere ed evitare i doveri. Aristofane contrappone così la poesia brillante, figlia della sofistica, di Euripide e la magniloquenza di Eschilo, a volte oscura, ma di grande valore etico. Alla fine Dioniso, giudice dell’agone, sceglie di riportare in vita Eschilo, come per dire che per una società oramai al tramonto, incosciente della propria volgarità, è meglio riportare alla memoria buoni esempi di valori e di vivere civile, piuttosto che sperare in una capacità di autocoscienza di fronte ad esempi di corruzione e degrado.
Le Rane, pur con una vena comica festosa, di ispirazione lirica, parla con una tristezza sconsolata di un vuoto culturale. Dioniso ha perduto il fascino della sua doppiezza, del suo oscillare tra bene e male, del suo dire e non dire, del suo nascondere per mostrare, ovvero ha perduto l’arte del teatro, di cui è rimasta solo la parvenza farsesca e deprimente. Eppure il teatro non perde mai la sua funzione e infatti mostra la sua stessa desolante condizione per indicare la miseria in cui è stato ridotto e insieme ricordare il proprio valore, scuotendo la coscienza di cui è esso stesso genitore.

Per info e prenotazioni: Uff. Pro Volterra – Piazza dei Priori, 10 – Volterra – info@provolterra.itwww.provolterra.it – tel. 0588-86150;